Licenziamenti a La Città: cosa importa alla città?

Non mi sono limitato a un post su Facebook, perché non ritengo opportuno dover trovare 3 – 4 frasi giuste e accattivanti, per parlare della gravosa situazione di 13 famiglie (ma anche di tanti altri cittadini), per soddisfare la quotidiana noia da social di chi può esimersi anche ora dal continuare a leggere.

Ho saputo a malincuore dei preannunciati licenziamenti che colpiranno la redazione del quotidiano cartaceo La Città, la realtà giornalistica che ritengo la mia prima vera “nave scuola”, nonostante altre esperienze precedenti. Devo tanto ai professionisti de La Città, in particolare a Vito Bentivenga e Giovanni Giannattasio, che mi permetto di considerare “padri del mio percorso lavorativo” nel mondo del giornalismo. Oltre loro, sono tanti i professionisti della redazione al fianco dei quali ho avuto la fortuna di lavorare, come Barbara Cangiano, Luigi Amati, Carlo Pecoraro, Tommaso Siani, Piero Delle Cave, Maurizio D’Elia.
Ma, ovviamente, il mio pensiero va anche a tutti gli altri – Carlo Meoli, Clemy De Maio, Monica Trotta, Enrico Scapaticci, Michele Spiezia.

Strano leggere di questi licenziamenti. Un epilogo troppo strano da accostare ai dati contabili come quelli della Edizioni Salernitane S.r.l., dati UFFICIALI dai quali “emerge un saldo attivo nell’ultimo conto di esercizio depositato in Camera di commercio”. Strano, visto che negli “ultimi due anni i giornalisti hanno acconsentito a enormi sacrifici economici che hanno permesso all’azienda cospicui risparmi sul costo del personale”, con contratti di solidarietà fino al 30% in meno dello stipendio mensile. Un epilogo davvero troppo strano per quello che ancora risulta, da quasi un quinquennio ormai, il “primo quotidiano del mercato salernitano, secondo in Campania” (citando testualmente il comunicato del 1 febbraio 2019 a firma di Giuseppe Carriero – direttore amministrativo di Edizioni Salernitane S.r.l.).

E’ tutto molto strano, proprio come l’intero percorso di questo giornale, fin da quando, nel 2017, la testata fu ceduta dal Gruppo Espresso ad una società (la Edizioni Salernitane S.r.l. per l’appunto) che l’ha rivenduta ad un’altra società, che l’ha ridata in affitto alla Edizioni Salernitane S.r.l.. Tutto molto strano, vero? Mi sono occupato per tre anni degli articoli sulla pagina “Economia” di questo giornale, una delle pagine ora “esternalizzate”, proprio come il settore Sport, e tutto il sito Web.

Che vuol dire? Vengono pagati soggetti esterni per svolgere lo stesso prodotto finale venduto poi come proprio. Che senso ha? Visto che mi occupavo di Economia, provo a spiegarlo come avrei fatto per i miei lettori: evitando inutili “passerelle tecnicistiche” e paroloni incomprensibili. La proprietà di una società schermata (come quella attuale del giornale La Città), secondo l’ordinamento italiano (artt. 1705 e seguenti), è concessa a soggetti individuati come “imprenditori occulti”, i quali non vogliono spendere il proprio nome in prima persona nella gestione dei propri affari. Dall’emanazione della legge n.1966 del 1939 – tutt’oggi in vigore – esistono quindi soggetti come la Edizioni Salernitane S.r.l. che rivestono il ruolo delle cosiddette “società separate o fiduciarie”. Queste si occupano di amministrare e gestire una o più attività dell’imprenditore occulto “schermato” e, talvolta, sono tenute anche al cosiddetto segreto fiduciario sulla sua identità.

Ma perché allora indebitarsi? L’imprenditore occulto, tranne rari casi previsti dalla legge, non deve rispondere personalmente dei debiti e delle inefficienze di gestione della “attività schermata”. E’ sempre la legge che prevede questa “tutela” (art. 1707 del codice civile, oltre diverse sentenze di Appello e Cassazione).

Spesso l’indebitamento o l’attività a perdere hanno anche uno scopo ben preciso. Per un imprenditore occulto che “gioca” sui mercati finanziari, l’attenzione degli investitori può dipendere da un indice di valutazione delle aziende: il R.O.E. – Return on Equity. Niente panico: è una percentuale che si ottiene da un’operazione facilissima, “utile netto/mezzi propri”. L’ossessione di tanti consigli di amministrazione oggi è aumentare questo numeretto. Come si fa? Si deve ridurre il patrimonio (in una frazione se il numero di sotto – denominatore – diminuisce, il totale ovviamente cresce). Avete mai letto sui giornali o sentito in TV tutte quelle belle parole messe insieme come “Stiamo razionalizzando la struttura societaria”, “Abbiamo creato società prodotto di grande importanza”, “Ci siamo dotati di centri di eccellenza”? Dietro queste frasi c’è la riduzione del patrimonio. Si costituiscono società separate o fiduciarie, si “esternalizzano” alcuni servizi, magari si trova tempo anche per ridurre leggermente i costi di gestione (ad esempio licenziando), un po’ come accaduto proprio a La Città (per carità magari è solo una coincidenza). Certo si riducono anche un po’ gli Utili, cioè i guadagni, ma di poco. Intanto quel numeretto magico chiamato ROE è comunque salito, e un po’ di perdite non sono nulla rispetto ai vantaggi sul mercato azionario. Al massimo a pagarne le conseguenze sono i lavoratori.

Questa lunga digressione potrebbe c’entrare praticamente nulla con La Città. Ma sapete com’è: se nessuno ti dà risposte, come quando si ha a che fare con una proprietà schermata, i pensieri viaggiano da soli e vanno lontano. A cosa serve tutta questa digressione? Con i professionisti colleghi de La Città ho coltivato un’idea di giornalismo che non insegue sterili polemiche o parla alla pancia, ma pone domande, riflessioni. Forse occorre riflettere su questo e sul pericolo di un ruolo sociale del giornalismo sempre più screditato e demolito, sia a livello qualitativo che economico-finanziario. Il giornale La Città non percepisce fondi pubblici e certo anche questo ha contribuito al dissesto finanziario. Ma proprio questo dovrebbe farci riflettere su quanto, in una comunità, il funzionamento costante e duraturo di una stampa libera, forse, dovrebbe essere prioritario. E sia chiaro, la stampa non si deve intendere “libera dalla libertà” di esprimere anche pensieri ed opinioni di colori politici ben definiti. Una stampa libera è tale se non è legata a dinamiche di potere, quello di soggetti interessati solo al profitto e al mercato, pronti a rinunciare alla qualità di un servizio essenziale come l’informazione e a sbattere in mezzo alla strada le persone, come i colleghi de La Città e le loro famiglie.

Marco Giordano

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